Vers UNE poétique de la Matière imaginaire
Les fleurs de fer de Pascal Bazilé

Par GianCarlo Pagliasso

Andar per cimiteri, riflettere sulle tombe e il destino dei defunti – topos poetico praticato già dai Greci nell’antichità e, in epoca moderna, riattualizzato da Thomas Gray fino
a Edgar Lee Masters – sembra esercizio imprescindibile per la sedimentazione nella coscienza di ognuno del senso di appartenenza ad una storia, ad una comunità
o tradizione comune.

In questo solco si muove anche l’interesse di Pascal Bazilé verso i sepolcri, ma con una variante che potremmo chiamare di ‘sorgività immaginaria’ rispetto all’oggetto ‘intenzionale’ della contemplazione: la morte. Non solo occasione di rimpianto e affratellamento luttuoso, essa è diventata per l’artista occasione di atto creativo, stimolo pulsante
e materia metaforica per le sue sculture.
È indubbia, per Bazilé, l’importanza della riflessione di Bachelard sull’esperienza della rêverie. In certo qual modo, l’artista sembra attratto dalla sfida di dare consistenza figurativa a quanto il filosofo dice dell’essenza delle rêveries d’infanzia, le quali ruotano intorno al dissidio di recuperare un omeostatico « antecedente d’essere» per « risalire
la corrente, a ritrovare il grande lago dalle acque calme in cui il tempo si riposa dallo scorrere. E questo lago è in noi, come un’acqua primitiva…» (1).

Ora, le rêveries cimiteriali di Bazilé sono rammemorazioni che hanno a che fare con l’acqua, nel senso che da fanciullo, mentre i parenti si intrattenevano sulle tombe di famiglia
nel camposanto del villaggio di Saint-Piat, era affascinato dalle steli sepolcrali sotto cui riposavano giovani donne annegate. Egli scrive, in proposito, :« La mia immaginazione
di bambino si sforzava di ridare vita a quelle morte, a quelle vergini di vent’anni di cui non restava più che la melodia del nome…».
Le opere che ha chiamato Fleures de fer sono il risultato di quella concitazione immaginaria, sono il precipitato di un’attitudine vivificante interna alla rêverie per la quale,
come sottolinea Bachelard, si tratta sempre di « rimettere in vita delle vite che non sono state vissute, delle vite che sono state immaginate»(2).
L’approccio alla problematica della morte è inscritto, per lui, nella salvifica dimensione dell’arte e della rêverie stessa, la quale da «mnemotecnica della immaginazione» sussidia qualunque sforzo di traslazione creativa del ricordo consentendogli il « contatto con delle possibilità che il destino non ha saputo utilizzare »(3).

La forma esecutiva utilizzata da Bazilé per far ‘rinascere’ le sue «vergini sepolte», per far sì che il passato morto possa avere « un avvenire, l’avvenire delle sue immagini
viventi »(4), è quella di sbozzarle nell’acciaio.

1
Questo materiale lavorato a mano e incerato sembra acquistare duttilità e flessibilità, ma al contempo rimanda con evidenza metonimica opposta alla fissità eterna dei nomi
delle defunte stampigliati in metallo sulle loro tombe. Inoltre, le figure sono stilizzate in pose da dormienti e riposano appoggiate su basamenti-catafalchi di metallo o di legno rivestito da fogli di piombo. La configurazione in termini biomorfici delle statue, opposta alla concretezza opaca degli scranni che le sorreggono, conferisce all’insieme una sacralità laica e accorata, intrisa di memoria e nostalgia verso l’insondabile mistero del trapasso. Allorché, tuttavia, l’artista inserisce i blocchi all’interno di vasche di zinco ricolme d’olio
di paraffina, per rendere l’effetto avvolgente dell’acqua che immobile si trasforma in denso e vitale liquido amniotico, queste figure muliebri consunte e resistenti allo stesso tempo sembrano sfidare la gravità cui il loro corpo è sottoposto per librarsi nell’immaginario di redenzione atemporale verso il quale l’intenzione dell’artista le destina.

La transustanziazione estetica che l’artista ci suggerisce pare coagularsi attorno alla sostanza della sua rêverie, acquistando evidenza tangibile dal trasporto dell’immaginazione
a farsi carico di riscattare il passato, offrendoci « un passato che, inefficace nella vita reale, diventa immediatamente dinamico in questa vita, immaginata e riimmaginata,
che è la rêverie benefica»(5).

1) Voir Gaston Bachelard, La poétique de la rêverie, tr. com. Stevan G. Silvestri, Bari, Daedalus, 1972, p.121.
2) Ibid. p.123.
3) Ibid.
4) Ibid.
5) Ibid.p.126.